Il governo Meloni ha rinominato il Ministero dell’Istruzione aggiungendo “e del merito”. Come abbiamo già da tempo commentato, nessuno può essere contrario al concetto di merito laddove esso viene richiamato anche dalla nostra Costituzione all’art.34.
Conoscenze vs competenze
Il problema dei problemi è come valutare in termini oggettivi il “merito”. Non entriamo qui in lunghe digressioni filosofiche sull’impossibilità dell’oggettività dei valori del merito soprattutto perché sempre legati ad una visione storica delle società in cui esso viene esplicitato con norme e leggi. L’unico merito possibile, evitando le deviazioni verso uno Stato Etico, è relativo alla valutazione delle conoscenze e successivamente delle competenze. La scuola dovrebbe occuparsi per sua stessa natura e funzione di costruire le conoscenze fondamentali per consentire ad ogni studente-cittadino italiano di essere in grado di possedere gli strumenti necessari per crescere culturalmente, psicologicamente e socialmente, acquisire un certo grado di responsabilità e autonomia e, infine, formarsi alla cittadinanza e alla vita democratica.
Il sistema economico punta invece alle competenze, cioè ad una capacità soggettiva da utilizzare nell’esercizio di funzioni nell’ambito delle professioni e del lavoro dimenticando che le competenze vere sono derivate da solide conoscenze. In Italia, a causa della frammentazione delle imprese e della miopia dell’imprenditori, mancano i percorsi di formazione al lavoro e alle professioni gestiti dalle imprese. La scelta politica è stata quella di scaricare su scuola e università la costruzione di competenze specifiche per costruire una nuova forza lavoro e intellettuale.
Le riforme della scuola
Non è un caso infatti che la scuola delle riforme degli ultimi trent’anni abbia puntato molto sulle competenze comprimendo la sfera delle conoscenze tradizionali. Ciò può essere un fatto non criticabile nella misura in cui, superando le conoscenze tradizionali si modellino nuove conoscenze essenziali per capire e vivere nella società contemporanea. Ma serve sempre saper leggere, scrivere e far di conto…, prima con penna e quaderno e poi con tablet e computer. Alla base ci sono e ci saranno sempre le conoscenze.
La valutazione dei docenti
La questione del merito è ancora più complessa per la valutazione dei docenti. Per ottenere i soldi del PNRR i governi Conte 2 e Draghi hanno inserito tra gli obiettivi dello Stato Italiano quello della valorizzazione dei docenti anche mediante l’introduzione di una sorta di carriera legata a percorsi di formazione. Il Ministro Bianchi si è inventato la figura del docente esperto, diventato poi docente stabilmente incentivato, che dovrebbe avere uno stipendio più elevato dopo la frequenza di tre percorsi triennali di formazione (9 anni…) con esito positivo (con un solo triennio si otterrebbe solo un premio una tantum). Non entriamo nel merito di una norma così bislacca e fatta apposta per rassicurare Bruxelles. Quello che è sicuro è che ogni governo voglia accedere ai fondi europei deve in qualche modo adempiere alle promesse fatte all’UE.
Appare evidente che il docente esperto o docente stabilmente incentivato saranno radicalmente rivisti a causa della fragilità delle norme di riferimento, ma ciò significa che Valditara o chi verrà dopo di lui dovrà inventarsi una proposta credibile che introduca elementi di valorizzazione strutturale “per merito” dei docenti.
Forse bisogna ricordarsi delle esperienze passate, dimenticando definitivamente le velleità premiali proposte da Berlinguer con il suo concorsaccio a quiz, velleità sepolte dalla mobilitazione dei docenti e delle tante forze politiche contrarie.
Il concorso per merito distinto
Con la riforma Gentile del 1923 era stato introdotto il concorso per merito distinto, modificato nel 1958 dal Ministro Aldo Moro. Il merito distinto era il riconoscimento di competenze culturali e professionali premiate con un’accelerazione di carriera. Consisteva in un concorso per titoli ed esami (uno scritto e una lezione) o per soli titoli (a seconda della fascia stipendiale di appartenenza). Indetto annualmente, vi potevano partecipare insegnanti con determinate anzianità di servizio. La possibilità di accelerazione era prevista per un’aliquota di posti pari al 50 o al 25 per cento del numero degli insegnanti della materia o gruppo di materie cui si riferiva il concorso. Il concorso per merito distinto per il passaggio alla terza classe di stipendio era per esame e per titoli; quello per il passaggio alla quarta classe era per soli titoli. Nel primo caso l’esame constava in una prova scritta, grafica o pratica e in una lezione di fronte ad una commissione composta da un docente universitario, dal preside o da un ispettore ministeriale e da un docente disciplinare appartenente all’ultima classe stipendiale. La commissione giudicatrice poteva disporre di 100 punti, 75 dedicati alle prove e 25 ai titoli nella prima modalità di prove.
La carriera dei docenti
Ricordiamo che la riforma Gentile collocava il docente all’interno di una struttura rigida e gerarchica della scuola con un potere dato ai direttori didattici e ai presidi di bloccare gli avanzamenti stipendiali in caso di demerito e con l’attribuzione delle famose note di qualifica. Le riforme degli anni settanta del secolo scorso hanno giustamente cassato tutta la parte relativa a note di qualifica, merito distinto e potere di blocco della carriera stipendiale per i presidi. Sappiamo anche che parte dei nuovi dirigenti scolastici bramerebbero riappropriarsi dei poteri dei loro antichi predecessori.
Resta il fatto che, tra tutte le proposte in campo in merito alla possibile carriera dei docenti, un merito distinto aggiornato sia tra le meno peggio.
Il merito del merito distinto partiva dalla considerazione che un docente fosse meritevole in quanto docente e non altro. Diverse proposte che vengono invece accreditate come innovative in relazione alla carriera dei docenti puntano invece a premiare chi fa altro dall’insegnamento (collaboratore del dirigente, responsabile di plesso, middle management, staff di direzione, ecc.) confondendo la funzione docente con funzioni gestionali che nulla hanno a che fare con la didattica operativa. Per parlare di funzioni (ora accessorie) legate alla docenza bisogna rifarsi alla sfera professionale della didattica. Di queste funzioni appartengono ad esempio i tutor per i docenti neoimmessi in ruolo, i coordinatori di classe e di dipartimento, i tutor per l’educazione civica e le altre figure legate alla didattica attiva riconosciute dal Collegio dei Docenti e dal PTOF.
Gli inutili corsi di formazione
Preoccupa nella fase attuale la narrazione per la quale un bravo docente debba cimentarsi (e subire) svariate ore di formazione pari a tot CFU e debba implementare il suo portfolio professionale con titoli e corsi di aggiornamento spesso inutili e funzionali ad arricchire università, enti di formazione e sedicenti “esperti”. Infatti chi gestisce la formazione nella scuola è nella stragrande dei casi chi non fa l’insegnante o si è dimenticato di esserlo stato. La formazione di norma è poi inerente a problematiche vere o inventate sulle varie metodologie didattiche e le troppe teorie pedagogiche che affrontano i soliti temi dell’inclusione, della personalizzazione degli apprendimenti, della gestione dei conflitti, del cyberbullismo, ecc. Mai una formazione seria su elementi disciplinari, sugli aggiornamenti disciplinari. In concreto, dopo aver conseguito laurea, abilitazione e ruolo un docente, anche di materie tecniche che subiscono più di altre una rapida obsolescenza dei contenuti, non è mai chiamato a aggiornarsi se non per suo interesse personale, o perché coinvolto in altri ambiti professionali. Spesso ci si accontenta di riproporre quello che l’editoria scolastica sforna annualmente con semplificazioni imbarazzanti della complessità disciplinare.
Una “carriera” dei docenti dovrebbe forse riproporre un merito distinto per esami e titoli con solide basi disciplinari (non meramente metodologiche) e con accelerazioni stipendiali calcolate su gradoni stipendiali riformati, tali da consentire il conseguimento del massimo stipendiale al trentesimo anno di anzianità di servizio (non al trentacinquesimo come avviene ora). Un primo step di accelerazione stipendiale potrebbe avvenire ad esempio dopo 10-15 anni di anzianità di servizio con un concorso per esami, titoli e una valutazione di una lezione fatta da una commissione composta in prevalenza da docenti esterni. Una ulteriore accelerazione potrebbe avvenire per facilitare il raggiungimento dell’ultimo gradone con la possibilità poi di optare al trentacinquesimo anno di anzianità per un part-time con completamento in funzioni di tutoring e formazione.
Tutto questo costa, ma non si può immaginare che valorizzare una cosiddetta carriera sia senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato. Prima di arrivare a discuterne è però essenziale aumentare gli stipendi base dei docenti. Non sembra che il governo Meloni sia al momento in grado di garantire investimenti sostanziali in tale settore.
Resta il problema del demerito che invece dovrebbe essere fondamentale. Se tutti gli studenti hanno diritto a bravi docenti, è necessario intervenire dove manchi preparazione e professionalità senza affidare le decisioni ai dirigenti scolastici o a burocrati ministeriali. Per questo bisogna ripartire dal rafforzamento delle funzioni ispettive con una preparazione didattica e disciplinare adeguate implementando il loro lavoro con la presenza di docenti disciplinari di indubbia esperienza. Ma su questo è da scrivere un altro complesso capitolo.
Fabrizio Rebersheg