L’avvitamento della crisi di governo minacciata da Draghi dopo la critica posizione dei 5 Stelle, o di quello che ne è rimasto, viene dipinta da molti come l’anticamera del baratro per il nostro Paese. Per chiarezza, Draghi ha ancora una maggioranza in Parlamento dopo la fuoriuscita del manipolo dei fedeli a Di Maio e potrebbe continuare a governare anche a colpi di voti di fiducia, come del resto è accaduto spesso nei mesi scorsi (si veda il decreto 36 che ha introdotto una pseudo-carriera per i docenti calibrata sulla partecipazione a corsi di formazione decisi da una Alta Scuola di Alta Formazione di nomina governativa).
Probabilmente non si andrà allo scioglimento anticipato delle Camere a ad elezioni politiche anticipate. I poteri economici e finanziari, le cancellerie europee, gli USA, la UE, i partiti vecchi e nuovi che hanno sostenuto il governo, spingono alla riconferma di Draghi, ma l’azione di governo sarà sempre più condizionata dalla rottura dello schema iniziale di “unità nazionale” fortemente voluto da Mattarella.
Per la scuola cambia qualcosa? Poco o niente. Tralasciando il fiume di dichiarazioni retoriche e spesso imbarazzanti del Ministro Bianchi nulla si è fatto per il rinnovo del contratto, almeno per la parte stipendiale, nulla si è fatto in vista della riapertura delle scuole a settembre in un contesto di rinnovata preoccupazione per il Covid 19 e le sue varianti, continua la confusione operativa nel reclutamento dopo l’introduzione delle “riforme” a loro volta riformate.
Pochi sentiranno la mancanza del Ministro in caso di crisi, nessuno immagina dopo le elezioni politiche una sua riconferma. Potrebbe almeno lasciare il campo ad altri chiudendo la parte economica del contratto scaduto da anni già ampiamente finanziata nel passato senza entrare a gamba tesa pretendendo di lasciare il segno con ulteriori modifiche dello status professionale dei docenti. Vedremo cosa accadrà.