L’invenzione del docente tutor e del docente orientatore non sta ricevendo grandi apprezzamenti da parte dei docenti.
Sono frequenti i casi di rifiuto o diniego dell’offerta di incarico per un compito che qualsiasi insegnante di buon senso può solo definire inutile e inefficace. Senza contare che il riconoscimento economico relativo risulta irrisorio rispetto alla mole di lavoro anche burocratico che si dovrebbe affrontare.
Tuttavia il ministro Valditara ha finanziato una campagna pubblicitaria e di stampa a favore della sua iniziativa e promette, per stimolare una maggior adesione da parte dei docenti punteggi aggiuntivi per le graduatorie finalizzate alla mobilità.
La funzione di tutor è la solita invenzione dei pedagogisti paraministeriali, degli “esperti”, dei “riformatori di professione” che hanno portato la scuola italiana allo sbando negli ultimi decenni. Sono tutte persone che per professione stanno lontane dall’insegnamento concreto in classe, spesso non sono insegnanti o (ex) insegnanti in difficoltà nel loro lavoro quotidiano, troppo spesso sono funzionari e burocrati alle dipendenze del ministro di turno.
Perché, a nostro avviso la figura del tutor è inefficace e addirittura controproducente?
La finalità della norma è quella di prevenire la dispersione scolastica e il livello degli insuccessi scolastici. Invece di organizzare un servizio di appoggio strutturato per gli studenti in difficoltà o che ne facessero richiesta motivata si è preferito creare una sorta di task force ideale che dovrebbe seguire gli stessi discenti senza alcuna competenza specifica, se non quella creata ad arte da artefatti corsi di formazione gestiti sempre da formatori che hanno il terrore di fare l’insegnante e che si sono creati una “professionalità” seguendo a loro volta formazioni di tipo aziendale e paradidattico.
Nel centenario della nascita di Don Milani, che non intendiamo certo santificare, si dovrebbe almeno ricordare l’esperienza del “doposcuola” e della scuola a tempo peno di Barbiana che era un vero doposcuola, critico certo, ma in grado di supportare gli allievi in difficoltà nel fare i compiti, nello studio personale, nella comprensione delle discipline proposte nell’orario normale delle lezioni.
Ci si aspettava dall’idea di tutor almeno la strutturazione di un gruppo di docenti, pagati bene, esperti delle discipline di riferimento per aiutare e sostenere lo studio degli allievi più svantaggiati, ma anche di chi intendeva approfondire i contenuti degli argomenti trattati nell’orario delle lezioni. Una sorta di potenziamento ed estensione degli sportelli e dei corsi di recupero introdotti dal Ministro Fioroni. Invece così non è andata.
Non ci sono soldi sufficienti a rilanciare un vero progetto di scuola inclusiva non solo a parole. Il docente tutor viene immaginato come consulente delle famiglie, come colui o colei che deve supportare gli studenti nella loro crescita personale e formativa, aiutandoli a raggiungere i loro obiettivi e sviluppando le loro competenze. Non si sa come possa aiutarli se non intervenendo presso i colleghi e le colleghe come avvocato difensore degli allievi di sua competenza.
In pratica il tutor non è chiamato ad insegnare ma a svolgere una funzione socio-assistenziale che si scontrerà con la funzione dei colleghi docenti.
La sua funzione si espliciterà in una raccolta di dati personali degli allievi a lui affidati, dati che saranno derivati dal lavoro dei consigli di classe e dei singoli docenti i quali saranno obbligati a relazionare, scrivere, giustificare, proporre… Una marea di burocrazia inutile e dannosa per il lavoro normale dei docenti. Il tutto pagato pochissimo dal Ministero (ovviamente nessun riconoscimento aggiuntivo per il lavoro accessorio che graverà sui docenti “normali”).
Valditara ha scelto l’effimero inutile all’opportunità di rivendicare seriamente nuovi e sostanziosi investimenti sulla didattica, partendo dalla necessità di aumentare a tutti i docenti e le docenti uno stipendio tra i più bassi d’Europa.
Alcuni docenti stanno accettando spinti dai dirigenti scolastici, o addirittura in alcuni casi obbligati, o nella speranza di “fare carriera” in un fumoso futuro.
Altri confidano in premi accessori come il punteggio aggiuntivo nella mobilità o la promessa che le somme (irrisorie per il lavoro svolto) saranno conteggiate a livello pensionistico.
Ricordiamo che il contratto sulla mobilità è fatto da amministrazione e sindacati. Nessun Ministro può imporre la sua volontà in una contrattazione. Confidiamo che i sindacati rigettino tali proposte anche perché favorirebbero di fatti i trasferimenti ad altra scuola dei tutor che, per volontà dell’amministrazione, dovrebbero restare nel loro ruolo almeno un triennio. In merito alla pensione si tratta di evidenti falsità essendo il lavoro dei tutor assimilabile in toto alle funzioni accessorie del personale docente.
Comprendiamo chi ha bisogno di soldi per rimpinguare un basso stipendio, ma ricordiamo che in questo modo contribuisce ad offrire il fianco alla progressiva dequalificazione dei docenti e della loro funzione.
Dire no alla funzione di tutor è non solo legittimo, ma sacrosanto.