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09.10.2024

A scuola di individualismo

Di marco Metto da Doppiozero

Non si dica che alla destra non interessa la scuola. Il pensiero conservatore ha ormai chiaro che il conseguimento di un’autentica egemonia culturale passa senz’altro anche dalle aule scolastiche.

Ce lo mostrano bene le nuove Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica. Sono così connotate ideologicamente che il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione le ha bocciate all’unanimità. Tuttavia il CSPI è un organo di garanzia senza alcun potere di veto (i suoi pareri sono “obbligatori ma non vincolanti”). A viale Trastevere hanno tirato diritto e le Linee guida, promulgate a settembre iniziato, entrano in vigore già da quest’anno.

 

Quasi a prevenire le critiche attese, il ministro Valditara ha precisato che esse «hanno come stella polare la Costituzione». In effetti, il documento ministeriale pullula di riferimenti alla Carta, ma sono del tutto strumentali a una visione della scuola totalmente diversa da quella emancipante che avevano pensato i Costituenti. Si usa la Costituzione, ma per svuotarla di significato.
 

Per le scuole, adeguarsi alle nuove disposizioni ministeriali significherà mettere mano quanto prima, già da queste settimane di settembre, ai singoli curricoli d’istituto. Non si tratta di poca cosa, soprattutto perché l’educazione civica è una materia di studio – sempre che così la si possa davvero definire – piuttosto atipica. La sua natura trasversale la porta a intrecciare i propri contenuti con la programmazione didattica di tutte le altre discipline.

Come ha rilevato il CSPI, le Linee guida, con il loro taglio prescrittivo – che mortifica l’autonomia didattica delle scuole, definendo decine e decine di nuovi obiettivi di apprendimento –, impattano profondamente sull’intero curricolo degli istituti.

Il vero problema resta però il complessivo impianto valoriale che il nuovo approccio all’educazione civica sottende.

Nei mesi passati Valditara, nelle sue esternazioni, aveva spesso ripreso le tesi sostenute in un pamphlet intitolato Insegnare l’Italia, scritto da Ernesto Galli Della Loggia e da Loredana Perla. Quest’ultima, ordinaria di pedagogia a Bari, è stata nominata – non senza polemiche – alla guida della commissione ministeriale incaricata di rivedere tutti i “programmi” delle discipline: l’educazione civica, insomma, è solo l’anteprima di quanto attende la scuola prossimamente.

Insegnare l’Italia attacca l’approccio “globalista e multiculturale” che, a detta degli autori, avrebbe caratterizzato la scuola degli ultimi anni e che avrebbe creato – per usare le parole di Perla – «un vulnus psicopedagogico nella formazione delle nuove generazioni». Insistere sulla funzione identitaria dell’educazione aiuterebbe invece gli studenti a collocarsi con più consapevolezza nel mondo. Per questo – dicono gli autori – è tempo di tornare a “insegnare la Patria”. E le nuove Linee guida per l’Educazione Civica prendono sul serio queste suggestioni.

Tra gli obiettivi preminenti della scuola – si legge nel documento – vi sarebbe, infatti, la necessità di «formare gli studenti al significato e al valore dell’appartenenza alla comunità nazionale».

 

Colpisce l’estrema disinvoltura con cui si prova a giustificare l’uso dell’espressione “comunità nazionale” facendosi scudo della Costituzione. Si legge, ad esempio, che «rafforzare il nesso tra il senso civico e l’idea di appartenenza alla comunità nazionale potrà restituire importanza, fra l’altro, al sentimento dei doveri verso la collettività, come prescritto dall’articolo 2 della Costituzione, nonché alla coscienza di una comune identità italiana come parte, peraltro, della civiltà europea ed occidentale». Tralasciando l’impossibilità di attribuire un senso chiaro a concetti discutibili quali “comune identità italiana” o “civiltà europea ed occidentale”, la strategia argomentativa consiste nell’evocare la Costituzione, strumentalmente, solo per puntellare un ragionamento avulso dall’articolo citato. “Comunità nazionale” o “identità italiana”, peraltro, sono parole estranee al dettato costituzionale.

Ma forse Valditara lo ignora, altrimenti non si spiegherebbe la sua dichiarazione in cui sottolinea l’importanza di educare alla «consapevolezza di appartenere ad una comunità nazionale definita patria dai Costituenti».

Costituzione

Nelle Linee guida della “patria” si dice che è un «concetto espressamente richiamato e valorizzato dalla Costituzione». Eppure nella Costituzione non si trova affatto una definizione chiara e univoca di “patria”, come invece si vuol dare a intendere. Anzi, il vocabolo in questione – certo caro a una generazione che aveva partecipato alla Resistenza – compare in tutta la Carta appena due volte. La prima è quando, all’articolo 54, «la difesa della Patria» è indicata come «sacro dovere del cittadino». Valditara resterebbe sorpreso a scoprire che la formulazione riprende alla lettera – e nel corso del dibattito costituente ciò fu oggetto di un’accesa discussione – ben altra Costituzione, quella sovietica del 1936!

La seconda circostanza in cui, all’articolo 58, si nomina la “patria” è per chiarire che, tra coloro che le hanno reso lustro «per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario», il Presidente della Repubblica sceglie i senatori a vita.

Insomma, è davvero poco per sostenere l’ardita tesi che i Costituenti identificavano la “patria” con la “comunità nazionale” e che all’orgoglio di appartenere ad essa si debbano educare le giovani generazioni.

C’è, tuttavia, un altro principio su cui il ministro si è speso molto nella comunicazione pubblica, quello secondo cui «la responsabilità individuale non può essere sostituita dalla responsabilità sociale». Si tratta di un passaggio rivelatore di un’intera visione filosofica del mondo. Nelle Linee guida sono tratteggiati i contorni di una teoria in cui il singolo cittadino è indicato come assolutamente responsabile di se stesso. Altro che «piena coerenza con il dettato costituzionale», come sostiene il ministro!

 

Un simile approccio individualista rovescia gli indirizzi solidaristici che permeano la Carta, in cui, ad esempio, la piena realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale non sta certo in capo alla responsabilità individuale, ma – come è arcinoto – «è compito della Repubblica».

L’accentuazione del ruolo della responsabilità individuale è, però, una proposta pedagogica ben più insidiosa da contrastare della retorica nazionalista.

I corollari dell’individualismo – l’ideologia del merito, la teoria del capitale umano, la funzionalità della scuola nei confronti del mercato – sono ormai profondamente introiettati anche nell’immaginario di docenti e studenti.

Non sarà infatti facile per gli insegnanti che discuteranno delle nuove Linee guida accorgersi che, dietro frasi apparentemente innocue, come «l’importanza di valorizzare i talenti di ogni studente» – una formula che ritorna spesso nel documento del Ministero –, si nascondono principi di fondo su cui sarebbe bene riflettere.

Recenti proposte pedagogiche “militanti” – come quelle di Meirieu e Biesta – ci mostrano come insistere sulla personalizzazione dell’apprendimento, in ragione di sviluppare i “talenti”, conduce a un’educazione di tipo adattativo e non trasformativo. Porre tutta l’enfasi sull’individuo induce a convincersi che questi, da solo, sia l’unico vero responsabile del proprio successo o del suo fallimento – che è poi quanto sostiene Valditara quando, intervistato, dichiara: «Al posto della responsabilità sociale, abbiamo introdotto il concetto di responsabilità individuale, in una logica che è moderna e autenticamente liberale» (Libero, 8 agosto 2024).

Non deve allora stupire che, tirando le somme di un percorso decennale supportato dalle politiche di governi di diverso colore, la nuova educazione civica ponga come centrali nella crescita degli studenti lo «spirito di iniziativa e di imprenditorialità», arrivando addirittura ad identificare queste due attitudini come «espressione di un sentimento di autodeterminazione».

Da un lato, si ripete allo sfinimento che lo scopo ultimo della scuola è perseguire l’occupabilità sul mercato del lavoro, dall’altro si lascia intendere – in una coerente logica individualista – che restare disoccupati ricade sotto la responsabilità del singolo: non si è stati buoni imprenditori di se stessi.

 

Così intesa la scuola perde qualunque possibilità di svolgere una funzione realmente “civica” – che necessita di una dimensione trasformativa e “sociale” – e si riduce ad assecondare l’esistente. Un ultimo esempio ci aiuta a mostrare i possibili esiti finali di questa deriva.


Nel testo ministeriale ampio spazio è dedicato all’importanza di «educare i giovani ai concetti di sviluppo e crescita». Ciò sarebbe possibile solo a partire dalla «valorizzazione dell’iniziativa economica privata» e dal giusto riconoscimento della «importanza della proprietà privata, tutelata dall’articolo 42 della Costituzione». Ancora una volta ci sarebbe da chiosare sull’uso disinvolto che si fa della Costituzione. Che ne è, ad esempio, della “proprietà pubblica” (dopotutto nell’articolo 42 è citata prima di quella privata)? Che dire della sottomissione dell’iniziativa economica privata ai vincoli della sua “utilità sociale” e dei suoi “fini sociali”, come la Costituzione prevede?

Ci sembra, però, più interessante evidenziare il ruolo di primo piano che – secondo le Linee guida – dovrebbero assumere «l’educazione finanziaria e assicurativa e la pianificazione previdenziale». Tra le note esplicative a cui il documento rimanda ci sono infatti le indicazioni per lo svolgimento di queste attività nelle scuole.

Leggendole scopriamo che un allievo, al termine della scuola media, dovrebbe «comprendere che il sistema sociale non è in grado di garantire qualsiasi servizio», mentre alla fine delle superiori, sarebbe importante «comprendere l’importanza di canalizzare una parte del proprio risparmio/reddito verso finalità previdenziali», nonché «conoscere i diversi strumenti di previdenza integrativa e sceglierli in base alle proprie esigenze e possibilità».

Ed ecco che, da questa particolare angolazione, tutto torna. Prospettando un futuro in cui – senza sistema sanitario, senza pensioni, senza servizi sociali – la società è polverizzata e domina la segregazione sociale, la funzione che si vorrebbe assegnare all’educazione è di addestrare i giovani ad accettare la realtà. Nel progetto complessivo di una scuola che assoggetta e disciplina, allora, anche la “comunità immaginata” della nazione – se non altro come valvola di sfogo per il bisogno ineludibile di riconoscimento sociale in forma collettiva – torna utile per il mantenimento dell’ordine di cose vigente. Patria e individualismo, per quanto antitetici, potrebbero sorreggersi l’un l’altro.

Non resta che opporsi a questo disegno. E attrezzarci per un esito diverso, nella scuola come nella società

 

Gilda tv